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CONTRIBUTO
ALLA CRITICA DELL’IDEOLOGIA ULTRASINISTRA
Jean Barrot
Luglio 1969 – rivisto nell’aprile 1970.
Il testo che segue è
il prodotto del lavoro di un gruppo "informale" di compagni
che sono tutti passati attraverso l’ultrasinistra e che in seguito
hanno messo in discussione le concezioni fondamentali di questa corrente.
Era stato redatto per la riunione organizzata nel giugno 1969 da ico (il
bollettino "Informations Correspondance Ouvrière" riunisce
dal 1958 un gruppo di operai e di militanti ultrasinistri). Noi speravamo
allora di impegnare una discussione di fondo con dei militanti ultrasinistri,
"consiliaristi", ma l’ideologia ultrasinistra che volevamo
affrontare ci è apparsa in stato di avanzata decomposizione. Se,
come talvolta si dice, la nostra epoca è quella della morte di
tutte le ideologie, non sembra che l’ideologia ultrasinistra sia
stata risparmiata. Ora noi possiamo solo accelerare un processo dà
largamente iniziato. L’importante è di andare avanti facendo
progredire il nostro lavoro teorico: ne abbiamo dunque approfittato per
sviluppare la parte del testo consacrata alla dinamica del capitalismo
e alla legge del valore. Il problema della liquidazione dell’ideologia
ultrasinistra è in via di risoluzione, non dal nostro testo, ma
dal movimento stesso della società: ora quel che importa è
porre i problemi della rivoluzione.
“Una mistificazione esisteva
non soltanto nelle sue risposte, ma nelle stesse domande." (K. Marx,
L’ideologia tedesca)
§ 1 – Non v’è alcun dubbio che uno degli scopi
principali della riunione organizzata da ico sarà di "coordinare"
l’attività di diversi gruppi ultrasinistri esistenti in Francia
e nel mondo. Ma subito una domanda s’impone: quale attività?
Si possono coordinare solo lavori che vanno nello stesso senso, che ruotano
intorno alle stesse preoccupazioni, il che beninteso non implica un accordo
teorico totale, ma presuppone in ogni caso una discussione; e questa discussione
può poggiare solo sul fondo. È per questo che noi proponiamo,
in preparazione di questa riunione, un contributo teorico che verta su
due punti essenziali e strettamente legati (e che in realtà ne
formano uno solo): il problema detto dell’"organizzazione"
e il problema del contenuto del socialismo. Insomma, il mezzo e il fine
del movimento rivoluzionario. La corrente ultrasinistra (indicheremo cosa
intendiamo con ciò) si è pronunciata e definita su questi
due punti. Vorremmo riflettere qui sulle soluzioni da essa proposte.
§ 2 – Lungi dall’allontanarci
dal lavoro concreto il nostro modo di procedere secondo noi è il
solo che possa permettere un reale "coordinamento" del lavoro
dei diversi gruppi ultrasinistri presenti alla riunione nazionale e a
quella internazionale. Tutti gli ultrasinistri, per i quali l’attività
rivoluzionaria è realmente un problema pratico, non possono che
porsi il problema teorico dell’orientamento del loro lavoro.
§ 3 – È chiaro che la nostra critica dovrà essere,
tra l’altro, storica; non vogliamo innanzitutto contrapporre idee
ad altre idee, ma collocare storicamente le concezioni che esaminiamo.
Questo è tanto più giustificato in quanto le concezioni
in questione si definiscono attraverso un riferimento costante a un passato
ben preciso e a teorie uscite da un certo periodo della storia del movimento
operaio.
1. LA
CORRENTE ULTRASINISTRA
§ 4 – Cos’è di fatto la corrente ultrasinistra?
Il prodotto e uno degli aspetti del movimento rivoluzionario che seguì
la Prima Guerra mondiale e sconvolse l’Europa capitalistica senza
distruggerla dal 1917 al 1921-’23. Le idee ultrasinistre affondano
le loro radici in questa corrente degli anni Venti, essa stessa espressione
della lotta di decine di migliaia di operai rivoluzionari in Europa. Si
tratta innanzitutto di un movimento minoritario che si opponeva all’orientamento
generale del movimento rivoluzionario mondiale. Il termine stesso è
significativo: c’è la destra (i socialpatrioti Ebert, Longuet
ecc.), il centro (Kautsky, la maggioranza del pcf), la sinistra (Lenin
e l’Internazionale Comunista) e gli ultrasinistri. La corrente ultrasinistra
si definisce subito come opposizione: all’interno del kpd e dell’Internazionale
Comunista. Questo movimento minoritario si afferma opponendosi alla maggioranza
dell’Internazionale Comunista, alle tesi che trionfano nel movimento
comunista internazionale: cioè al leninismo. La corrente ultrasinistra
trae la sua forza innanzitutto dal movimento rivoluzionario in Germania
e nei Paesi Bassi; i suoi appoggi in Francia e in Gran Bretagna sono scarsi
[1]. (Mettiamo deliberatamente da parte la Sinistra italiana, il "bordighismo",
che non includiamo nell’ultrasinistra e che esamineremo un po’
più avanti. Prendiamo in qualche modo come "criterio"
dell’ultrasinistra l’opposizione comunista di sinistra al
leninismo nel suo insieme, come teoria e come pratica).
§ 5 – Uno studio del movimento ultrasinistro mostra che esso
è lungi dall’essere monolitico (vedi l’opuscolo di
ico sul movimento dei Consigli in Germania). Peraltro le sue diverse tendenze
si evolsero secondo gli anni e le circostanze: per esempio, la Risposta
a Lenin di Gorter sviluppa una concezione che l'essenziale della corrente
del "socialismo dei consigli" non adotta. Sui due punti fondamentali
(l’"organizzazione" e il contenuto del socialismo), studiamo
dunque solo le idee conservate nell’ulteriore sviluppo di questa
corrente, quindi dagli attuali gruppi ultrasinistri di cui ico offre senza
dubbio uno dei migliori esempi.
§ 6 – Le concezioni ultrasinistre in materia di organizzazione
sono contemporaneamente il prodotto di un’esperienza pratica (le
lotte operaie in Germania, soprattutto) e di una critica teorica (la critica
del leninismo). Si sa che, per Lenin, il movimento operaio non può
essere rivoluzionario di per sé: gli occorre un partito che gli
apporti la "coscienza di classe", la "coscienza socialista".
Il problema rivoluzionario centrale consiste nel forgiare una "direzione"
capace di condurre gli operai alla vittoria. Sforzandosi di teorizzare
l’esperienza delle organizzazioni di fabbrica in Germania, gli ultrasinistri
opposero alla teoria leninista la concezione secondo la quale la classe
operaia non ha alcun bisogno di essere diretta da un partito per essere
rivoluzionaria. La rivoluzione sarebbe l’opera delle masse organizzate
in Consigli operai e non di un proletariato guidato e controllato da rivoluzionari
professionali. Il kapd [2] di cui Gorter teorizza l’attività
nella sua Risposta a Lenin [3], concepiva ancora il suo ruolo come quello
di un’avanguardia organizzata al di fuori delle masse, che ha la
funzione di illuminarle e non di dirigerle come secondo la teoria leninista.
Ma questa stessa concezione era superata da alcuni ultrasinistri contrari
al dualismo partito-organizzazione di fabbrica: i rivoluzionari non devono
cercare di raggrupparsi in organizzazioni speciali distinte dalle masse.
Questa tesi condusse nel 1920 alla creazione dell’aaud-e [4] che
rimproverava all’aaud di essere "l’organizzazione di
massa" del kapd. Il comunismo dei consigli, e in primo luogo il suo
più brillante teorico Anton Pannekoek [5], avrebbe fatto proprie
le idee dell’aaud-e; egualmente è su questa concezione che
si fonda il lavoro di ico: ogni raggruppamento di rivoluzionari che esista
al di fuori degli organi creati dagli operai stessi e che tenti di darsi
una linea e di formulare una teoria coerente e globale, alla fin fine
può solo porsi come direzione degli operai. I rivoluzionari dunque
fanno solo circolare delle informazioni e stabiliscono contatti, ma non
cercano mai, in quanto gruppo, di elaborare una teoria e un orientamento
d’insieme.
§ 7 – Il contenuto del socialismo fu anch’esso concepito
a partire dall’esperienza proletaria dell’epoca e dalla critica
del leninismo. Gli ultrasinistri vedevano in Germania e in Russia il prodigioso
sviluppo dei consigli di fabbrica e dei Consigli operai. In Germania,
i consigli rimasero sotto il dominio politico dei riformisti. In Russia,
i compiti che essi potettero adempiere furono limitati al controllo operaio
(1917 e inizio del 1918) e in seguito il movimento fu liquidato. I bolscevichi,
diceva Lenin, devono amministrare la Russia. Così un apparato burocratico
si formò a poco a poco per gestire l’economia russa. Gli
ultrasinistri denunciarono questa caricatura del socialismo e posero quella
che doveva rimanere la loro tesi fondamentale al riguardo: il socialismo
è la gestione della società non da parte di una minoranza
di "amministratori" ma da parte delle masse operaie organizzate
in Consigli. Il socialismo è la gestione operaia. Questa concezione
è rimasta al centro delle idee ultrasinistre. La critica del partito
si collega alla critica del "socialismo" russo. Al partito,
strumento di presa del potere e di gestione della società socialista,
gli ultrasinistri sostituirono i Consigli operai.
§ 8 – Su questi due punti la corrente ultrasinistra si è
fondata negli anni Venti a partire da una critica del leninismo. Ci si
può domandare se questa critica non sia stata, così come
ciò contro cui era volta, il prodotto di un’epoca; e se non
porti il segno dei limiti di quel periodo. La corrente ultrasinistra ha
analizzato il leninismo in profondità? O piuttosto non l’ha
contraddetto senza colpirne davvero le radici?
2. IL
PROBLEMA DELL’"ORGANIZZAZIONE"
§ 9 – Il punto di partenza metodologico della teoria leninista
del partito è una distinzione che si trova in tutti i grandi teorici
socialisti dell’epoca e anche in Engels sul finire della sua vita
[6] : secondo questa distinzione il "movimento operaio" e il
"socialismo" (cioè le idee, la dottrina, il marxismo,
il socialismo scientifico ecc. – si può chiamarlo in diversi
modi) sono due cose radicalmente diverse e separate. Vi sono gli operai
e le loro lotte quotidiane; vi sono il socialismo e i rivoluzionari. Bisogna
– dice Lenin, rifacendosi a Kautsky [7] – "introdurre"
le idee rivoluzionarie tra gli operai. Movimento operaio e movimento rivoluzionario
sono separati l’uno dall’altro. Bisogna unirli e assicurare
la direzione degli operai da parte dei rivoluzionari professionali. A
questo fine, i rivoluzionari si raggruppano separatamente e intervengono
dall’esterno nel movimento operaio. L’analisi di Lenin che
pone i rivoluzionari al di fuori del movimento operaio si fonda su una
constatazione apparentemente evidente: i rivoluzionari sembrano essere
in un mondo completamente diverso da quello in cui si svolge la vita quotidiana
degli operai. Lenin non fa che appoggiarsi su quest’apparenza senza
andare al fondo alle cose: il movimento rivoluzionario, la dinamica che
porta verso il comunismo, sono prodotti dalla società capitalistica.
È a partire da questo fatto che Marx aveva elaborato la sua concezione
del partito. Il termine partito torna spesso sotto la penna di Marx: bisogna
distinguere tra i princìpi che egli pone e le analisi congiunturali
sull’evoluzione del movimento operaio della sua epoca. Non c’è
alcun dubbio che alcune di queste analisi erano false (per esempio quelle
sui sindacati). D’altra parte non vi è un testo in cui Marx
affermi: ecco ciò che penso sul partito, ma un grande numero di
osservazioni disperse in tutta la sua opera. Gli esegeti possono dunque
sbizzarrirsi, tuttavia ci sembra che un punto di vista globale si delinei
chiaramente da tutti questi testi. La società capitalista produce
da sé un partito comunista, che è solo l’organizzazione
del movimento oggettivo (cioè indipendente dalla "coscienza"
nel senso di Kautsky e di Lenin) che spinge questa società verso
il comunismo (più oltre vedremo quel che è, e, comunque,
quel che non è il comunismo). In un periodo di pace sociale, l’equilibrio
della società rimane stabile, gli elementi del sistema si sostengono
e nessuna rottura è possibile. In tali condizioni il movimento
rivoluzionario è ridotto ad alcuni aspetti limitati e a prima vista
anche derisori: alcune lotte operaie che si spingono abbastanza lontano
da rimettere in causa certi fondamenti dell’ordine stabilito (per
esempio, oggi, la rimessa in discussione dei sindacati); rivolte brutali
che spesso non provengono dagli operai ma da alcuni strati del contadiname
o degli studenti, benché esse svolgano solo il ruolo assegnato
loro dalla situazione generale della società in quel momento; infine
piccoli gruppi e persino individui isolati, quelli che si chiamano i "rivoluzionari".
Questa è la nostra attuale situazione. Ma non vi sono da un lato
gli "operai" e dall’altro i "rivoluzionari":
o, piuttosto, se i rivoluzionari sembrano separati dal proletariato ciò
dipende precisamente dal fatto che il "proletariato" non può
affermarsi ed erigersi come classe dominante. Lenin vede il proletariato
riformista e si chiede come potrà diventare rivoluzionario. La
sua risposta è semplice: il proletariato farà la rivoluzione
solo se gli viene apportata la coscienza di classe. Lenin scava tra riforma
e rivoluzione un fossato tale che gli operai non possono superarlo da
soli. La definizione rivoluzionaria del proletariato, quale si libera
e s’impone a Marx, verso la metà del xix secolo, dopo vari
decenni di lotte operaie, è al contrario basata sulla costrizione
storica. Quando la situazione non permette di distruggere i rapporti di
produzione capitalisti, il proletariato è costretto a vendere la
prpria forza-lavoro: domandando aumenti salariali, con ciò stesso
tenta, lo voglia o no, di modificare i rapporti di distribuzione. Quando
si presenta una situazione rivoluzionaria, il proletariato se la prende
con i rapporti di produzione. Esso non scompare mai dalla scena della
storia: la lotta di classe riveste forme diverse a seconda della fase,
e lo obbliga a essere riformista o rivoluzionario. È per questo
che il rivoluzionario s’interessa innanzitutto non a ciò
che questo o quel proletario, o anche l’intero proletariato, si
rappresenta come scopo, ma a ciò che il proletariato sarà
storicamente costretto a fare. Si tratta di comprendere un processo storico
e non di irrigidirlo isolandone uno degli elementi (vedi quanto scriviamo
più avanti sulla dinamica del capitalismo) [8].
§ 10 – Di fatto ogni movimento rivoluzionario corrisponde alla
società da cui è uscito e a quella che si avvia a instaurare:
il movimento comunista, il partito nel senso marxiano, riflette in particolare
la divisione lavoro manuale-lavoro intellettuale. Questa divisione esso
non la "sceglie"; la base sulla quale si sviluppa gliela impone.
In un periodo di pace sociale vi sono degli operai rivoluzionari isolati
nelle loro fabbriche e che fanno ciò che possono sul piano delle
lotte quotidiane, della critica del capitalismo e delle istituzioni che
lo sostengono tra gli operai (sindacati e partiti "operai" riformisti).
In genere vi riescono abbastanza male, il che è del tutto normale.
E, d’altra parte, vi sono dei rivoluzionari (operai e non) che leggono,
scrivono e fanno il possibile per diffondere il loro lavoro teorico: in
genere vi riescono egualmente abbastanza male, il che è altrettanto
normale. Lenin vorrebbe che i "teorici" dirigessero gli "operai";
ico lo nega energicamente e ne conclude che bisogna evitare ogni lavoro
teorico collettivo. Ma il problema è altrove: rivoluzionari "operai"
e rivoluzionari "teorici" sono solo due aspetti dello stesso
processo. Credendo di vedervi una frattura profonda, Lenin non faceva
che prendere l’apparenza per realtà. Ma ico si limita a rovesciare
l’errore di Lenin, senza vedere che questa pretesa separazione è
solo illusoria, com’è d’altronde dimostrato dall’avvento
di un periodo un po’ rivoluzionario. Cosa si è visto nel
Maggio-Giugno 1968? Un certo numero di comunisti "ultrasinistri"
– la cui attività rivoluzionaria, sia prima sia dopo quegli
eventi, era ed è consacrata per l’essenziale a una critica
teorica della società capitalistica – hanno lavorato con
una minoranza operaia rivoluzionaria. Non si sono né legati né
uniti ai lavoratori. E prima non erano separati dagli operai più
di quanto ogni operaio non sia separato dagli altri nella situazione di
atomizzazione della classe operaia che caratterizza ogni periodo non rivoluzionario
(com’è stato spesso dimostrato, i sindacati non diminuiscono
bensì rafforzano quest’atomizzazione). Marx non era maggiormente
separato dagli operai scrivendo Il Capitale piuttosto che agendo nella
Lega dei Comunisti e nell’Internazionale: lavorando in questi gruppi
non aveva né il bisogno imperioso (come Lenin) né il timore
(come ico) di costituirsi quale direzione della classe operaia.
§ 11 — La concezione marxista del partito come prodotto storico
della società capitalistica, che riveste diverse forme secondo
le fasi attraversate da questa società, permette di superare il
dilemma necessità del partito-timore del partito. Il partito per
Marx è solo l’organizzazione spontanea (cioè totalmente
determinata dall’evoluzione sociale) del movimento rivoluzionario
generato dal capitalismo. Il partito sorge spontaneamente dal suolo storico
della società moderna. La volontà e il timore di "creare"
il partito sono entrambi altrettanto illusori. Il partito non ha né
da essere creato né da non esserlo: è un puro prodotto storico.
Il rivoluzionario non ha bisogno né di costruire il partito né
di temere di costruirlo. Tra poco vedremo le conseguenze pratiche di questo
punto di vista. Esaminiamo prima un argomento spesso impiegato dagli ultrasinistri.
§ 12 – Bisogna guardarsi – dicono – dal costituirsi
in partito: vedete quel che è successo in Russia dopo il 1917.
Per l’appunto vediamo! La rivoluzione del 1917 è stata effettuata
dal partito nel senso marxiano; quanto al partito che Lenin aveva voluto
costruire a partire dal Che fare?, svolse costantemente un ruolo di freno
tra febbraio e ottobre. Lo stesso Lenin fu rivoluzionario nel 1917 solo
perché respinse nella sua prassi il Che fare?. In seguito la debolezza
del proletariato russo e l’assenza di rivoluzione in Europa costrinsero
la rivoluzione russa ad assolvere esclusivamente i compiti della rivoluzione
borghese impossibile. Il partito bolscevico assicurò la direzione
del Paese e la teoria leninista del partito separato dalle masse, "avanguardia
cosciente", che possiede il sapere e la... coscienza, servì
da potente paravento ideologico alla borghesia di Stato. Gli ultrasinistri
hanno preso questa ideologia per il centro del problema: niente partito
– dicono –, altrimenti si finisce come in Russia. In verità
non è il partito leninista ad avere causato la disfatta nella rivoluzione
russa; è solo l’assenza di rivoluzione mondiale che ha potuto
dare al partito di Lenin il fiato perso tra febbraio e ottobre. Giacché
bisogna distinguere tra il partito in senso marxiano e il partito bolscevico.
Si crede che sia stato il partito bolscevico a fare la Rivoluzione d’ottobre.
È falso. Il partito bolscevico – il partito che Lenin aveva
tentato di costruire da oltre quindici anni, la "direzione"
delle masse, l’"avanguardia" – era stato superato
dallo slancio delle masse organizzate (alle quali, dall’inizio,
si erano uniti numerosi bolscevichi). Solo la successiva debolezza della
rivoluzione, d’altronde quasi subito dopo l’ottobre ’17,
ha ridato al partito tutto il potere. A quel punto, l’apparato centralizzato
del partito bolscevico ha potuto dirigere le masse e organizzare la vita
della società russa. Gli ultrasinistri non compresero questa distinzione
e si è arrivati al rifiuto puro e semplice di ogni coerente attività
collettiva (ico). Ci si contenta di adottare una posizione simmetrica
a quella leninista. Lenin aveva voluto costruire un partito; gli ultrasinistri
si rifiutavano di farlo. Pro o contro il partito, l’ultrasinistra
si limitava a dare una risposta diversa alla medesima falsa domanda. Per
noi non è sufficiente rovesciare l’ottica di Lenin, occorre
abbandonarla.
§ 13 – Sul piano dell’attività, ico ha egualmente
adottato una posizione esattamente simmetrica a quella di Lenin. I gruppi
leninisti moderni (Lutte Ouvrière, per esempio) tentano in ogni
modo di organizzare gli operai. ico si accontenta di fare circolare delle
informazioni senza mai prendere posizione collettivamente su di un problema.
Quest’analisi di ico apparsa nel n. 11 dell’"Internationale
Situationniste" ci pare giusta (il che certo non vuol dire che accettiamo
l’insieme della teoria e della pratica situazioniste):
§ 14 – "Abbiamo molti punti di accordo con loro [i compagni
di ico] e un’opposizione fondamentale: noi crediamo alla necessità
di formulare una critica teorica precisa dell’attuale società
di sfruttamento. Riteniamo che una tale formulazione teorica possa essere
prodotta solo da una collettività organizzata; e viceversa pensiamo
che ogni legame permanente tra i lavoratori debba tendere a scoprire una
base teorica generale della sua azione. Ciò che la Misère
en milieu étudiant chiamava la scelta dell’inesistenza fatta
da ico in questo campo, non significa che noi pensiamo che i compagni
di ico manchino di idee o di conoscenze teoriche ma, al contrario, che,
mettendo tra parentesi tali idee, che sono diverse, essi perdano più
di quanto non guadagnino in capacità di unificazione (ciò
che in fondo conta praticamente di più)" (p. 63).
Preciseremo oltre a quali compiti rivoluzionari ci dedichiamo.
3. IL CONTENUTO DEL SOCIALISMO
§ 15 – La rivoluzione russa dovette adempiere il compito di
sviluppare il capitalismo in Russia. Gestire l’economia il meglio
possibile divenne la principale parola d’ordine. Ci si dedicò
a formare, a partire dai quadri del partito bolscevico e dai vecchi "specialisti"
borghesi, un corpo di amministratori efficaci. Gli ultrasinistri arrivarono
all’idea che questa gestione da parte di una minoranza situata al
di sopra della classe operaia non poteva essere il socialismo: alla gestione
burocratica essi opposero la gestione operaia. Si giunse così a
una coerente ideologia ultrasinistra con al centro i Consigli operai:
strumenti di lotta, di presa del potere e di amministrazione della società
futura, essi occupano – per esempio nel libro di Pannekoek Les conseils
ouvriers – il posto centrale riservato al partito da Lenin. Di fatto,
questa concezione ci obbliga a riflettere su quel che è veramente
la società capitalistica: perché prima di sapere cos’è
il socialismo abbiamo bisogno di sapere a cosa si contrappone. La teoria
della gestione operaia presenta il capitalismo innanzitutto come un modo
di gestione: l’importante è che l’economia sia diretta
da una minoranza di capitalisti e non dalle masse operaie. Sostituiamo
dunque i padroni con gli operai [8 bis].
§ 16 – Ma il capitalismo è innanzitutto un modo di gestione?
La critica rivoluzionaria del capitalismo avviata da Marx non pone in
primo piano il problema di sapere chi gestisca il capitale. Al contrario,
Marx ci mostra i capitalisti come semplice funzione del capitale; dice
anche che il padrone è solo il funzionario del capitalismo: "Il
capitalista non è che il funzionamento del capitale e l’operaio
quello della forza-lavoro". I pianificatori russi, lungi dal "dirigere"
l’economia, al contrario ne sono diretti, e tutto lo sviluppo dell’economia
russa segue le leggi oggettive dell’accumulazione capitalistica.
In breve, il "gestore" è al servizio di rapporti di produzione
precisi e costrittivi. Il capitalismo non è un modo di gestione
bensì un modo di produzione basato su dei rapporti di produzione.
Sono questi i rapporti da distruggere se si vuole abbattere il capitalismo.
L’analisi rivoluzionaria del capitalismo evidenzia il ruolo del
capitale di cui i "dirigenti" dell’economia possono solo
rispettare le leggi oggettive, in urss come negli usa.
4. LA
LEGGE DEL VALORE
§ 17 – Il capitalismo è fondato sullo scambio: si presenta
prima di tutto come un’"immensa accumulazione di merci".
Ma pur non potendo esistere senza lo scambio, il capitalismo è
diverso dalla semplice produzione di merci: si costituisce anche lottando
contro la produzione mercantile semplice. Il capitale è basato
innanzitutto su di uno scambio del tutto particolare, lo scambio tra lavoro
vivo e lavoro morto. L’originalità di Marx rispetto agli
economisti classici consiste innanzitutto nella definizione del concetto
di forza-lavoro, che permette di svelare il segreto del plusvalore, distinguendo
tra lavoro necessario e pluslavoro.
§ 18 – In che modo le merci vengono commisurate le une alle
altre? Con quale meccanismo si misura che una quantità x di merce
a equivale a una quantità y di merce b? Marx stabilisce che bisogna
cercare la spiegazione del rapporto xa-ya non nel carattere concreto di
a e di b, nella qualità rispettiva di queste due merci, ma in una
relazione quantitativa. a e b possono scambiarsi, e nella proporzione
xa=yb, solo se contengono entrambe una quantità di "qualcosa
di comune", (Karl Marx, Il Capitale, I, 1). Se facciamo astrazione
del carattere concreto, utile, di a e di b, "resta loro solo una
qualità, quella di essere prodotti del lavoro" (ibidem): a
e b si scambiano in proporzioni determinate dalle rispettive quantità
di lavoro cristallizzatovi: queste stesse quantità di lavoro hanno
per misura la loro durata temporale. Il tempo di lavoro medio socialmente
necessario al quale l’analisi arriva è un’astrazione:
non si può calcolare ciò che rappresenta un’ora di
lavoro medio per una determinata società. Ma, distinguendo tra
lavoro concreto e lavoro astratto, Marx può comprendere il meccanismo
dello scambio e analizzare un tipo di scambio particolare: il salariato.
§ 19 – "Ciò che vi è di meglio nel mio libro
è: l) di aver dimostrato nel primo capitolo il doppio carattere
del lavoro a seconda che esso si esprima come valore d’uso o come
valore di scambio (tutta la comprensione dei fatti è basata su
questa tesi) [...]." (Lettera a Engels, 24 agosto 1867).
§ 20 — L’acquisto e la vendita di ogni merce, compresa
la forza-lavoro, obbediscono a ciò che Marx chiama la legge del
valore. Tale legge si presenta dapprima abbastanza semplicemente: le merci
si scambiano al loro valore determinato dal tempo di lavoro medio necessario
alla loro produzione. Marx afferma nel Libro III del Capitale che "lo
scambio di merci ai loro valori – o approssimativamente ai loro
valori – presuppone [...] uno stadio meno avanzato che non lo scambio
ai prezzi di produzione, che necessita di un elevato livello dello sviluppo
capitalistico".
§ 20 — Di fatto, la legge del valore è concepita come
la causa e al contempo la conseguenza di una lunga evoluzione storica
complessa e contraddittoria.
§ 21 — Lo scambio appare nella società primitiva dacché
il grado della produttività del lavoro permette a una comunità
di produrre al di là della soddisfazione dei propri bisogni. La
divisione del lavoro appare, così come la moneta, l’"equivalente
generale" di tutte le altre merci: il valore di scambio sembra così
acquistare una certa autonomia, personificata e individualizzata dall’usuraio
e dal mercante, che vivono della circolazione del denaro e, in fin dei
conti, sono mantenuti dal pluslavoro dei lavoratori produttivi. Chi dice
moneta dice prezzo: il prezzo non è che la forma monetaria del
valore, ma non coincide con il valore. Il gioco dell’offerta e della
domanda si esercita su tre piani: vi è la concorrenza l) tra i
venditori, 2) tra i compratori, 3) tra i venditori e i compratori. Il
rapporto tra l’offerta e la domanda fa abbassare o salire il prezzo
al di sopra o al di sotto del valore. Ma quel che, per un periodo dato
e nei limiti di queste oscillazioni, determina il valore di una merce,
non è la concorrenza, ma il costo di produzione di quella merce.
Il valore di una merce è determinato dal tempo di lavoro medio,
il suo prezzo dal rapporto tra l’offerta e la domanda. La legge
del valore si presenta allora come "la legge che, nei limiti delle
oscillazioni dei periodi commerciali, mantiene necessariamente il prezzo
di una merce eguale ai suoi costi di produzione" (Karl Marx, Lavoro
salariato e capitale).
§ 22 — Fin qui siamo nel quadro della produzione mercantile
semplice: il capitalismo sviluppa la legge del valore e complica all’estremo
il rapporto prezzo-valore. L’accumulazione primitiva capitalista
poggia essenzialmente su due punti: la trasformazione della forza-lavoro
in merce, il che presuppone che essa compaia libera sul mercato e sia
dunque un elemento distinto dagli altri nel processo lavorativo; e l’accumulazione
d’ingenti capitali disponibili per l’investimento industriale.
Le cospicue somme ammassate nel sistema mercantilista dal xv al xvii secolo
furono impiegate a questo scopo. In un tutt’altro contesto, uno
degli obiettivi della liquidazione dei kulak e dei Nepmen, a partire dal
1928, in Russia, era di permettere allo Stato di impadronirsi di una grossa
quantità di valori per investirli nell’industria. In entrambi
i casi lo sviluppo del capitale commerciale fu la tappa necessaria prima
di un prodigioso balzo industriale. Prodotto esso stesso della crescita
dello scambio, il capitale lo estende su tutto il pianeta e con ciò
modifica non la legge del valore bensì la sua manifestazione: le
forme del valore sono trasformate al fine di meglio conservare e sviluppare
fino in fondo il contenuto della legge. Così la distinzione prezzo-valore
esisteva prima che la forza-lavoro fosse scambiata; ma il capitale industriale
prolunga e modifica il rapporto prezzo-valore. Si sa che il prezzo ruota
intorno al valore secondo le fluttuazioni della domanda e dell’offerta.
Ma nella società capitalistica nasce tutta una dinamica della relazione
prezzo-valore.
§ 23 – "Che cosa succede se il prezzo di una merce sale?
I capitali saranno gettati in massa nell’industria che prospera
e questo afflusso di capitali su di un terreno favorevole durerà
finché i guadagni vi ritorneranno normali, o piuttosto fino al
momento in cui la sovrapproduzione farà cadere i prezzi di questi
prodotti al di sotto dei costi di produzione." (Karl Marx, Lavoro
salariato e capitale.)
§ 24 — Marx riprende questo problema in maniera sistematica
nel Libro III del Capitale: :
"In seguito alla differente composizione organica [9] dei capitali
investiti nelle diverse branche della produzione, visto dunque che diversissime
quantità di lavoro sono messe in opera da capitali di eguale grandezza,
secondo la differente percentuale che la parte variabile costituisce in
un capitale totale di volume dato, questi capitali si appropriano di diversissime
quantità di pluslavoro donde producono diversissime masse di plusvalore.
Di conseguenza, i tassi di profitto che predominano nelle diverse branche
della produzione rivelano originariamente delle grandi differenze. Sotto
l’effetto della concorrenza, questi diversi tassi di profitto si
uguagliano in un tasso di profitto generale, che è la media di
tutti quei diversi tassi di profitto. Si designa con profitto medio il
profitto che, conformemente a questo tasso di profitto generale, riviene
a un capitale di grandezza data, qualunque sia la sua composizione organica.
Si ottiene il prezzo di produzione di una merce aggiungendo al suo costo
la parte del profitto medio annuale sul capitale investito (e non soltanto
consumato) nella sua produzione, parte calcolata conformemente alle sue
condizioni di rotazione".
§ 25 — Questo processo non è altro che la perequazione
del tasso di profitto: lo sviluppo degli scambi produce un prezzo di mercato
che oscilla insieme alle fluttuazioni della concorrenza nei limiti prima
descritti. Il movimento dei prezzi di mercato (o prezzi correnti) appare
come una negazione della legge del valore. Ma la circolazione del capitale,
i suoi incessanti spostamenti in cerca di branche dove i costi di produzione
siano i meno elevati possibile, tendono a uniformare i tassi di profitto.
Il capitalismo tende a realizzare ciò che Marx chiama il "comunismo
del capitale" in cui il plusvalore viene redistribuito. Si crea così
un prezzo di produzione, una sorta di media delle oscillazioni dei prezzi
di mercato per ogni merce.
"Il prezzo così livellato, che ripartisce ugualmente il plusvalore
sociale tra le masse di capitali in proporzione alla loro grandezza, è
il prezzo di produzione delle merci, il centro intorno al quale le merci
oscillano." (Karl Marx, Il Capitale, Libro III).
§ 26 – Proprio negando il prezzo di mercato, il prezzo di produzione
appare come una nuova negazione della legge del valore, poiché
il prezzo delle merci si compone del costo di produzione più il
profitto medio.
"Può dunque sembrare che la teoria del valore sia qui incompatibile
con il movimento reale e con i movimenti empirici della produzione."
(Ibidem).
§ 27 – Marx ci invita a ragionare al livello della società
considerata globalmente e a considerare il processo di produzione capitalista
dal punto di vista della totalità.
"Il capitale investito in alcuni settori della produzione ha una
composizione media, cioè esattamente o approssimativamente la composizione
del capitale sociale medio.
In questi settori, il prezzo di produzione delle merci coincide esattamente
o approssimativamente con il loro valore espresso denaro." (Ibidem).
§ 28 — Negli altri settori esso non coincide con il valore:
si produce ciò che Marx chiama un fenomeno di "compensazione":
"Supporre che le merci di diversi settori della produzione si vendano
al loro valore, significa semplicemente che il loro valore è il
punto centrale intorno al quale gravitano i loro prezzi e si equilibrano
i loro alti e bassi. Dunque bisognerà sempre distinguere, oltre
al valore individuale delle merci particolari prodotte dai diversi produttori,
un valore di mercato... Per alcune di queste merci il valore si troverà
al di sotto del valore di mercato (se la loro produzione esige un tempo
di lavoro più corto di quello che esprime il valore del mercato)-
per altre esso eccederà il loro valore" (Ibidem).
§ 29 – L’interesse dell’analisi di Marx risiede
nel tentativo di collegare direttamente il rapporto domanda-offerta alla
questione del tempo di lavoro (come l’ha fatto sopra distinguendo
valore e prezzo):
"Perché una merce sia venduta al suo valore mercantile, cioè
proporzionalmente al lavoro socialmente necessario che essa contiene,
la quantità totale del lavoro sociale consacrato alla massa totale
di questa specie di merce deve corrispondere all’ampiezza del bisogno
che la società ne prova, beninteso, del bisogno sociale solvibile.
La concorrenza, le fluttuazioni dei prezzi correnti che corrispondono
alle fluttuazioni dell’offerta e della domanda, tendono costantemente
a riportare a quel livello la quantità totale del lavoro consacrato
a ogni categoria di merci" (Ibidem).
§ 30 – Non vi è contraddizione tra il valore da una
parte e il costo di produzione più il profitto medio dall’altra.
È il funzionamento stesso del capitalismo, attraverso la trasformazione
del plusvalore in profitto, a distinguere la frazione del valore di una
merce che rappresenta il costo di produzione da quella che rappresenta
il profitto medio: il profitto medio, anche se appare come "esterno"
(Marx), è nondimeno il prodotto dell’investimento della totalità
del capitale impegnato dalla società.
"Certamente, se si prende in considerazione il capitale sociale totale,
il valore delle merci che esso ha prodotto (o, in termini di moneta, il
loro prezzo) è uguale al valore del capitale costante, più
il valore del capitale variabile, più il plusvalore." (Ibidem)
"È chiaro che il profitto medio non può essere diverso
dalla massa totale dei plusvalori ripartiti sulle masse del capitale,
alla quota della loro grandezza, nei diversi settori della produzione."
(Ibidem)
§ 31 – Negando doppiamente la legge del valore con il prezzo
di mercato e con il prezzo di produzione, il capitalismo non fa che rafforzarla
ed estenderla. Il valore acquista ora una forma "modificata",
ma la trasformazione dei valori in prezzi di produzione e la creazione
del valore mercantile distinto dal valore individuale realizzano la legge
generalizzandola:
"Le merci – considerate in blocco e su scala sociale –
sono vendute al loro valore" (ibidem).
Marx riassume così il meccanismo della manifestazione della legge
attraverso la sua doppia negazione:
"La concorrenza riesce a stabilire, prima in un settore determinato,
un valore mercantile e un prezzo correnti uniformi a partire dai differenti
valori individuali delle merci. Ma soltanto la concorrenza dei capitali
nei diversi settori genera il prezzo di produzione e questo livella il
profitto tra quei settori. Questo processo richiede uno sviluppo, del
modo capitalistico di produzione superiore a quello dello stadio inferiore.
[...] Esiste sempre una compensazione: per troppo plusvalore in tale merce
vi è troppo poco plusvalore in talaltra merce, cosicché
gli scarti tra i valori e i prezzi di produzione si compensano reciprocamente.
Nel sistema capitalistico di produzione, la legge generale si impone come
tendenza dominante solo in maniera approssimativa e complessa, come un
termine medio e inverificabile tra eterne fluttuazioni" (ibidem).
§ 32 – L’importanza di tutti questi sviluppi risiede
nell’evidenziazione del ciclo storico dello scambio che continua
sotto il capitalismo. Il "marxismo" volgarizzato ha fatto della
legge del valore un semplice meccanismo regolatore, rigettando ciò
in cui risiedeva l’interesse del lavoro di Marx: la ricerca di una
dinamica del capitalismo. Uno degli elementi di tale dinamica è,
per il movimento stesso della legge del valore, il tempo di lavoro:
"Io dimostro che proprio perché il valore della merce è
determinato dal tempo di lavoro, il prezzo medio delle merci non può
mai essere uguale al suo valore" (Karl Marx, Teorie sul plusvalore).
§ 33 – Il tempo di lavoro medio determina infatti tutta l’organizzazione
sociale della produzione e della distribuzione. Regola le proporzioni
in cui le forze produttive sono assegnate a tale o a talaltro posto. La
legge del valore "si afferma fissando le necessarie proporzioni di
lavoro sociale non nel senso generale che si applica a ogni società,
ma soltanto nel senso richiesto dalla società capitalistica; detto
diversamente, essa stabilisce una ripartizione proporzionale dell’insieme
del lavoro sociale in funzione dei bisogni specifici della produzione
capitalista" (Paul Mattick, "isea", n. 59). È tra
l’altro per questa ragione che i capitali non andranno a investirsi
in una fabbrica in India, anche se la produzione di questa fabbrica è
necessaria alla sopravvivenza della popolazione: il capitale si dirige
sempre là dove si moltiplica più velocemente. La regolazione
mediante il tempo di lavoro medio impone di sviluppare una determinata
produzione solo laddove il tempo di lavoro necessario per ottenerla è
maggiormente vicino al tempo di lavoro medio.
"In un regime sociale dove l’interdipendenza del lavoro sociale
esiste sotto la forma dello scambio privato dei prodotti individuali del
lavoro, la forma sotto la quale si manifesta la ripartizione proporzionale
del lavoro è precisamente il valore di scambio di questi prodotti."
(Karl Marx, Lettera a Kugelmann, 11 luglio 1868)
§ 34 — Tale è la razionalità del capitale: il
valore di scambio attraverso il tempo di lavoro medio. L’interesse
dell’analisi di Marx consiste nella dimostrazione che questo stesso
movimento produce l’irrazionalità del sistema capitalistico.
Qui consideriamo solo uno degli aspetti di questa contraddizione, a partire
dalle indicazioni di Marx circa la definizione del tempo di lavoro.
5. LA
CONTRADDIZIONE DEL TEMPO DI LAVORO
§ 35 – Abbiamo ricordato il ruolo – centrale –
del pluslavoro nell’analisi della produzione del plusvalore. Marx
insiste sull’origine, sulla funzione storica e sul limite storico
del pluslavoro:
"Il grado di produttività già raggiunto ci indica se
una parte del tempo di produzione basta alla produzione immediata e se
una parte in continuo aumento può essere impiegata a creare dei
mezzi di produzione. Questo suppone che la società sia in condizione
di aspettare e che possa prelevare, tanto sul consumo immediato, quanto
sulla produzione che le è consacrata, una crescente parte della
ricchezza già creata per impiegarla in un lavoro che non è
immediatamente produttivo (in seno al processo materiale di produzione).
Tutto questo esige dunque che si sia già raggiunto un certo livello
di produttività e un eccedente relativo, e si può dire più
esattamente, che questo livello si misura direttamente dal grado in cui
il capitale circolante si trasforma in capitale fisso" (Karl Marx,
Grundrisse).
§ 36 – Così il salariato permette di sviluppare le forze
produttive a un livello fino ad allora inimmaginabile:
"La vera economia (risparmio) verte sul tempo di lavoro (minimo e
riduzione a un minimo dei costi di produzione)- ma, capita che questa
economia corrisponde allo sviluppo della forza produttiva" (ibidem).
Il salariato permette la produzione di plusvalore mediante l’appropriazione
del pluslavoro da parte del capitale. In questo senso, la miseria alla
quale esso condanna l’operaio è una necessità storica.
Bisogna costringere il lavoratore a fornire del pluslavoro. Ma così
le forze produttive si sviluppano e aumentano la parte relativa del pluslavoro
nella giornata lavorativa dell’operaio: "Il capitale crea una
grande quantità di tempo disponibile [...], detto diversamente,
un margine di spazio per lo sviluppo di tutte le forze produttive di ogni
individuo e dunque anche della società. [...] Esso stesso tende
sempre a creare del tempo di lavoro disponibile da un lato, per trasformarlo
in plusvalore dall’altro" (ibidem).
§ 37 – L’"esistenza contraddittoria" del pluslavoro
appare dunque nettamente:
– crea la ricchezza sociale,
– apporta la miseria al lavoratore che lo fornisce.
Questa contraddizione ha una base oggettiva: la necessità del progresso
delle forze produttive. Ma, a partire dal momento in cui tale crescita
raggiunge un grado fantastico, il pluslavoro diventa talmente importante,
rispetto al lavoro necessario, che è possibile trasformare il rapporto
lavoro necessario/pluslavoro e distruggere la "base contraddittoria
del pluslavoro". Il capitale "è così, suo malgrado,
lo strumento che crea i mezzi del tempo sociale disponibile, che senza
posa riduce a un minimo il tempo di lavoro per tutta la società
e libera dunque il tempo di tutti in vista dello sviluppo proprio a ciascuno"
(Karl Marx, Grundrisse).
§ 38 – Nel socialismo, il lavoro eccedente rispetto a quello
necessario perderà il carattere di pluslavoro impostogli dai limiti
storici delle forze produttive sotto il capitalismo: il tempo disponibile
non sarà più fondato sulla povertà del lavoro. Non
si avrà più bisogno della miseria per creare la ricchezza.
Quando il rapporto tra il lavoro necessario e il pluslavoro sarà
sconvolto dallo sviluppo delle forze produttive, l’eccedenza di
tempo al di là del lavoro necessario all’esistenza materiale
perderà la sua forma transitoria di pluslavoro.
"Il tempo libero – per il piacere e per le attività
superiori – trasformerà, nel più naturale dei modi,
colui che ne gode in un risultato diverso ed è quest’uomo
trasformato che poi si presenterà al processo immediato di produzione."
(Ibidem).
§ 39 – L’economia di tempo di lavoro è una necessità
assoluta per lo sviluppo dell’umanità: fonda la possibilità
del capitalismo e, a uno stadio più sviluppato, quella del comunismo.
È lo stesso movimento che sviluppa il capitalismo e renderà
il comunismo al contempo possibile e necessario.
§ 40 – Contemporaneamente, la legge del valore e la misura
mediante il tempo di lavoro medio si trovano impegnate nello stesso processo.
La legge del valore esprime il limite del capitalismo e svolge un ruolo
necessario. Fintanto che le forze produttive sono ancora poco sviluppate
e che il lavoro immediato costituisce il fattore essenziale della produzione,
la misura attraverso il tempo di lavoro si impone come una necessità
assoluta. Ma con lo sviluppo del capitale, in particolare del capitale
fisso, "la creazione di ricchezza dipende sempre meno dal tempo di
lavoro e dalla quantità di lavoro utilizzato e sempre di più
dalla potenza degli agenti meccanici che sono messi in movimento nel corso
della durata del lavoro" (ibidem).
§ 41 — La miseria del proletariato ha permesso così
di sviluppare in modo prodigioso il capitale fisso, in cui per l’appunto
si trovano fissate tutte le conoscenze scientifiche e tecniche dell’umanità:
l’automazione, di cui oggi cominciamo a vedere le prime applicazioni,
è solo una delle tappe di questo sviluppo. Il capitale continua
a regolare la produzione attraverso l’intermediario della misura
mediante il tempo di lavoro medio:
"Il capitale è una contraddizione in processo, da una parte
esso spinge alla riduzione del tempo di lavoro a un minimo e, d’altra
parte, esso pone il tempo di lavoro come la sola fonte e la sola misura
della ricchezza. Esso diminuisce dunque il tempo di lavoro sotto la sua
forma necessaria per accrescerla sotto a sua forma di pluslavoro"
(ibidem).
§ 42 – Quanto abbiamo scritto circa l’"esistenza
contraddittoria" del pluslavoro dev’essere collegato alla questione
del tempo di lavoro. La famosa contraddizione forze produttive/rapporti
di produzione può essere compresa solo se si vedono bene le seguenti
opposizioni e gli stretti legami che le uniscono:
– contraddizione tra il ruolo del tempo di lavoro medio come regolatore
delle forze produttive "in via di sviluppo" e la loro crescita
che tende a distruggere la ragione d’essere di questa funzione;
– contraddizione tra la necessità di sviluppare al massimo
il pluslavoro dell’operaio al fine di produrre il più possibile
e la crescita stessa del pluslavoro che rende possibile la sua soppressione.
§ 43 – La relazione contraddittoria tra i rapporti di produzione
e le forze produttive può essere compresa solo come un concetto
da costruire, come sintesi di numerose questioni a vari livelli (problemi
del credito, della rendita ecc., cf. Il Capitale, Libro III): la contraddizione
del tempo di lavoro e la dinamica di queste contraddizioni sono una delle
manifestazioni dell’opposizione tra la crescita delle capacità
produttive e i rapporti sociali nella società capitalistica.
§ 44 – Marx ha tentato di sintetizzare queste due questioni:
"Da quando il lavoro, sotto la sua forma immediata, ha cessato di
essere la fonte principale della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e
deve cessare di essere la sua misura e il valore di scambio anche cessa
di essere la misura del valore di uso. Il pluslavoro delle grandi masse
ha cessato di essere la condizione dello sviluppo della ricchezza generale,
proprio come i non-lavoro di alcuni ha cessato di essere la condizione
dello sviluppo delle forze generali del cervello umano" (ibidem).
§ 45 – La "liberazione dell’uomo" tanto annunciata
da tutti gli utopisti (antichi e moderni) è da quel momento possibile:
"La produzione basata sul valore di scambio crolla con questo fatto.
[...] Allora vi è il libero sviluppo delle individualità.
Da quel momento in poi non si tratta più di ridurre il tempo di
lavoro necessario in vista di sviluppare il pluslavoro, ma in generale
di ridurre il lavoro necessario della società al minimo. Ora questa
riduzione suppone che gli individui ricevano una formazione artistica,
scientifica, ecc., grazie al tempo libero e ai mezzi creati a beneficio
di tutti" (ibidem).
§ 46 – Quella che si potrebbe chiamare la dialettica del tempo
di lavoro riguarda pure la società comunista e la necessaria transizione
che vi conduce. Ponendo il problema del tempo di lavoro e della misura,
come abbiamo tentato di fare, è possibile comprendere le affermazioni
di Marx che, a prima vista, potrebbero sembrare paradossali e persino
contraddittorie.
"Ogni bambino sa che ogni nazione perirebbe se interrompesse il lavoro,
anche solo per una settimana [9 bis]. Ugualmente egli sa che la creazione
di prodotti corrispondenti a bisogni diversi richiede diverse quantità
determinate di lavoro sociale collettivo... Ora è molto evidente
che una forma data di produzione sociale non può assolutamente
eliminare questa necessità di una ripartizione, nelle proporzioni
definite, del lavoro sociale; si possono solo trasformare le sue manifestazioni.
Non si possono eliminare le leggi della natura. In condizioni storiche
diverse si può solo trasformare la forma sotto la quale queste
leggi si manifestano." (Karl Marx, Lettera a Kugelmann, 11 luglio
1868)
§ 46 – Abbiamo visto che, sotto il capitalismo, la legge del
valore organizza ciò che Bucharin chiama "le proporzioni socialmente
indispensabili tra le diverse branche della produzione", creando
così ciò che egli definisce "lo stato d’equilibrio"
della società: il regolatore fondamentale essendo il tempo di lavoro
medio
§ 47 – È anche curioso leggere dalla penna di Marx che
"in realtà nessun tipo di società può impedire
che la produzione sia regolata, d’una maniera o d’un’altra,
dal tempo di lavoro disponibile di una società. Ma, fintanto che
questa fissazione della durata del lavoro non si effettua sotto il controllo
cosciente della società, il che può essere fatto soltanto
sotto il regime della proprietà comune, ma con il movimento dei
prezzi delle merci, la tua tesi esposta con tanta precisione negli Annali
Francotedeschi resta interamente valida". (Lettera a Engels, 8 gennaio
1868) [10].
§ 48 – In realtà non vi è incoerenza nel pensiero
di Marx a questo livello. Questa lettera in particolare fu interpretata
in tutti i modi possibili nel dibattito che oppose fondamentalmente Bucharin
a Preobrazešnskij, senza che mai, a nostra conoscenza, l’autentica
analisi di Marx fosse messa in luce. Marx opponeva la regolazione mediante
il tempo socialmente necessario alla regolazione mediante il tempo disponibile.
Evidentemente non si tratta di due metodi da applicare, ma di due processi
storici oggettivi che mettono in gioco l’insieme dei rapporti sociali.
Si conoscono le pagine della Critica al progetto di programma di Gotha
in cui Marx spiega che "nella società cooperatrice, fondata
sulla proprietà comune dei mezzi di produzione, i produttori non
scambiano i loro prodotti; egualmente il lavoro impiegato nei prodotti
appare ancor meno come valore di quei prodotti, come una loro qualità
reale, perché ormai, al contrario di quanto succede nella società
capitalista, i lavori dell’individuo diventano parte integrante
del lavoro della comunità direttamente e non più attraverso
un lungo giro".
§ 49 – Questo passaggio del Libro II del Capitale viene citato
meno:
"In luogo di una società capitalistica supponiamo una società
comunista. Innanzi tutto il capitale-denaro disparirebbe completamente
e con lui tutte le transazioni travestite che implica. La questione si
riduce semplicemente al fatto che la società è obbligata
a calcolare in anticipo la quantità di lavoro, di mezzi di produzione
e di sussistenza che, senza il minimo inconveniente, essa può impiegare
a delle imprese che, come per esempio la costruzione di ferrovie, durante
un periodo abbastanza lungo, un anno o anche di più, non forniscono
né mezzi di produzione, né alcun prodotto di utilità
immediata, ma, al contrario, sottraggono dei mezzi di produzione e di
sussistenza alla produzione annuale totale del lavoro. Mentre nella società
capitalistica, dove l’intelligenza sociale si manifesta solo a cose
fatte, è inevitabile che, senza posa, si producano delle grandi
perturbazioni."
§ 50 – Marx pone dunque un fatto: nella società comunista
esisterà un altissimo livello di sviluppo delle forze produttive.
Questo livello permetterà di non misurare più in termini
di tempo di lavoro medio. Ma bisognerà valutare bene l’importanza
relativa che verrà data a questa o a quell’altra branca e
dunque scegliere e calcolare. Soltanto che la "misura" non si
farà più in funzione del costo sociale del prodotto, ma
relativamente alla comparazione tra i diversi bisogni. "A ciascuno
secondo i suoi bisogni", nell’ottica di Marx, non significa
che "tutto" esisterà "in abbondanza", la nozione
di "abbondanza" assoluta è essa stessa una nozione ideologica
e non un concetto scientifico. La formula "A ciascuno secondo i suoi
bisogni" implica effettivamente un calcolo e una scelta, non più
sulla base del valore di scambio ma in funzione del valore d’uso,
dell’utilità sociale del prodotto considerato [11]. D’altronde
Marx espone questo punto nella Miseria della filosofia:
"In una società futura, in cui l’antagonismo delle classi
fosse cessato, l’uso non sarebbe più determinato dal minimo
del tempo di produzione; ma il tempo di produzione che si consacrerebbe
a un oggetto sarebbe determinato dal suo grado di utilità."
§ 51 – Così, si chiarisce la nota frase sul passaggio
dal regno della "necessità" al regno della "libertà":
quest’ultima è concepita come un rapporto in cui gli uomini,
padroneggiando il processo di produzione della vita materiale, possono
infine adattare le loro aspirazioni al livello raggiunto dallo sviluppo
delle forze produttive [12]. La crescita della ricchezza sociale e il
fiorire dell’individualità coincidono.
"La vera ricchezza significa, in effetti, lo sviluppo della forza
produttiva di tutti gli individui. Da allora in poi non sarà più
il tempo di lavoro, ma il tempo disponibile a misurare la ricchezza."
(Marx, Grundrisse)
In questo senso, Maximilien Rubel ha ragione a parlare del "tempo,
terreno della liberazione umana" [13].
§ 52 – È chiaro che la dinamica analizzata da Marx esclude
ogni ipotesi d’un passaggio graduale al comunismo attraverso la
scomparsa progressiva della legge del valore. Al contrario, la legge del
valore non cessa di manifestarsi con forza fino alla distruzione del capitalismo:
la legge del valore non cessa mai di autodistruggersi... ma per ricomparire
sempre a un livello superiore. Abbiamo mostrato come il movimento che
ha dato origine alla legge del valore tenda a distruggerne la ragion d’essere,
ma ciò nonostante essa continua a esistere e a regolare il funzionamento
del sistema. Perciò la rivoluzione è necessaria, ma nello
stesso tempo si comprende come sia possibile. Il motore della lotta rivoluzionaria
non è né la "coscienza" né la "spontaneità"
pura degli operai, bensì la crescita delle forze produttive, di
cui il proletariato stesso è, secondo Marx, una delle componenti
essenziali.
§ 53 – In definitiva, la natura contraddittoria del tempo di
lavoro pone il problema del duplice carattere del lavoro stesso, fonte
della dialettica valore d’uso-valore di scambio. L’analisi
marxiana, in tutti i manoscritti, tenta di dare una definizione del capitale
e del ruolo che esso svolge nella storia dello scambio. In queste pagine,
non abbiamo fatto altro che presentare un aspetto del lavoro di Marx.
D’altronde la sua analisi, per quanto completa, non potrebbe bastarci:
in ogni caso bisogna prima conoscerla bene. È per questa ragione
che ci concentriamo su Marx. Qui abbiamo solo posto una questione, ora
dobbiamo stare attenti a non imitare quel pensatore di cui Marx diceva
che riusciva a risolvere i problemi solo semplificandoli.
6. LA
GESTIONE OPERAIA
§ 54 – La teoria della gestione operaia della società
mediante i Consigli operai ignora completamente il movimento del capitalismo;
ne conserva tutte le categorie e le caratteristiche: salario, scambio,
legge del valore, limitazione aziendale ecc. Il socialismo da essa propostoci
è solo un capitalismo... gestito democraticamente dagli operai.
Delle due l’una:
– o i Consigli operai vorranno funzionare diversamente dalle imprese
capitaliste, cosa impossibile stante il permanere dei rapporti di produzione
capitalisti, e saranno perciò spazzati via dalla reazione (che
avrà la sua fonte principale nella sopravvivenza di tali rapporti).
Giacché i rapporti di produzione non sono rapporti interumani –
vedi la definizione di "Socialisme ou Barbarie"14: i rapporti
di produzione capitalisti esistono laddove vi sono dirigenti ed esecutori
–, ma il modo in cui si rapportano tra loro i diversi fattori del
processo lavorativo: il fattore soggettivo (la forza-lavoro umana) e il
fattore oggettivo (i mezzi di produzione, le materie prime ecc.). Ciò
che costituisce l’essenza dei rapporti capitalisti è l’ergersi
dei fattori oggettivi come potenza estranea rispetto al lavoratore, potenza
che lo domina in quanto capitale. Il rapporto "umano" dirigente-esecutore
è solo una manifestazione del rapporto fondamentale capitale-salariato;
– oppure i Consigli operai accetteranno di funzionare come delle
imprese capitaliste. Ma allora il sistema dei Consigli sopravviverà
solo come un’illusione destinata a mascherare lo sfruttamento, e
i dirigenti "eletti" non tarderanno a diventare in tutto identici
ai capitalisti tradizionali: la funzione del capitalista, secondo Marx,
tende irresistibilmente a separarsi da quella dell’operaio: "Del
resto la legge vuole che lo sviluppo economico attribuisca queste funzioni
a persone diverse; [...] tal è la tendenza della società
ove domina il modo di produzione capitalista". La gestione operaia
sboccherà nel capitalismo, o piuttosto il capitalismo non avrà
mai cessato di esistere, con tutti i suoi corollari: concorrenza, salariato...
§ 55 – La burocrazia sovietica aveva preso il controllo dell’economia:
gli ultrasinistri vogliono che siano le masse a farlo. Ancora una volta
l’ultrasinistra rimane sul terreno del leninismo, accontentandosi
di dare una risposta diversa alla stessa questione. Nondimeno, così
facendo, avanza un principio giusto (al contrario di Lenin): l’impossessamento
dell’economia da parte degli operai è necessario. Ma non
è un fine in sé: è una condizione necessaria, ma
non sufficiente, della distruzione del capitalismo. Il socialismo non
è la gestione, seppure "democratica" e "operaia",
del capitale, ma la sua distruzione.
7. IL
LIMITE STORICO DELL’ULTRASINISTRA
§ 56 – Esaminando questi due punti, non abbiamo fatto altro
che ricordare la tesi fondamentale di Marx, secondo cui nella società
dominata dal capitalismo esiste un movimento verso la rivoluzione. Il
nostro compito è innanzitutto l’affermazione di questo movimento.
I problemi di "organizzazione" e di contenuto del socialismo
si chiariscono. Prodotto dalla società capitalistica, il movimento
rivoluzionario ne porta il marchio: la divisione manuale/intellettuale.
Ma non bisogna teorizzare questo aspetto né nel senso di Lenin
né in quello d’ico, bisogna invece riconoscerlo come una
fase inevitabile che scomparirà solo con il pieno successo della
rivoluzione. Non esiste dunque, contrariamente a quanto affermato da Lenin,
un "problema dell’organizzazione". Vi sono solo delle
forme rivestite dal movimento spontaneo verso il comunismo prodotto dalla
società. L’apporto teorico di Marx è proprio l’evidenziazione
della dinamica interna che conduce dal capitalismo al comunismo. Con ciò
il socialismo non appare più come la semplice gestione della società
da parte del proletariato, ma come il compimento del ciclo storico del
capitale ad opera del proletariato. Il proletariato non può accontentarsi
d’impadronirsi del mondo, conduce a termine il movimento del capitalismo.
Questo è quanto separa Marx da tutti i pensatori utopisti e riformisti:
il socialismo è il prodotto di una dinamica oggettiva, della stessa
dinamica che generò il capitalismo e lo propagò su tutta
la terra. Marx insiste innanzitutto sul contenuto di questo movimento.
Lenin e la corrente ultrasinistra hanno insistito innanzitutto sulla sua
forma: forma organizzativa, forma di gestione della società socialista,
dimenticando il contenuto del movimento rivoluzionario. Questa "dimenticanza"
era essa stessa un prodotto storico. La situazione della loro epoca, e
in primis lo sviluppo limitato delle forze produttive, non permetteva
alle lotte rivoluzionarie di avere un contenuto comunista (nel senso che
abbiamo definito). Essa impose ai rivoluzionari delle forme che non potevano
essere radicali e comuniste. Queste, a loro volta, segnarono e accrebbero
i limiti dell’epoca [15].
§ 57 – Le idee ultrasinistre si sono formate e sviluppate in
un’epoca in cui le condizioni di maturazione della rivoluzione non
erano ancora compiute. Il capitalismo non era ancora abbastanza sviluppato
e il proletariato non abbastanza forte perché la rivoluzione comunista
fosse possibile. Il leninismo non faceva altro che esprimere l’impossibilità
della rivoluzione in quell’epoca. Le idee di Marx sul partito erano
state accantonate da parte da lungo tempo, lo stesso Engels le aveva abbandonate
sul finire della sua vita. È l’epoca delle grandi organizzazioni
riformiste, poi dei partiti di stile bolscevico (che di fatto ricadono
velocemente nel riformismo). Il movimento rivoluzionario non si era ancora
affermato a sufficienza, stretto tra la socialdemocrazia e il leninismo,
non arrivava a manifestarsi come tale. Ovunque, in Germania, in Italia,
in Gran Bretagna, l’inizio degli anni Venti è contrassegnato
dall’inquadramento e dall’irregimentazione della classe operaia.
Per reazione a questa situazione, gli ultrasinistri arrivarono a temere
di coartare i lavoratori. Invece di comprendere i partiti leninisti come
prodotto della sconfitta operaia, rifiutavano qualunque partito e lasciavano,
al pari di Lenin, la concezione marxista del partito nei ripostigli della
storia. Quanto al contenuto del socialismo, basta vedere che, dal 1917
al 1936, dalla rivoluzione russa alla rivoluzione spagnola, passando per
le insurrezioni in Germania, in Cina e altrove, nessun movimento sociale
significativo mette in discussione il fondamento del capitalismo. Allorché
un movimento rivoluzionario trionfa, può solo tentare di gestire
il capitalismo ma non di rovesciarlo. In queste condizioni gli ultrasinistri
non potevano fare una reale critica del leninismo, potevano solo contraddirlo
sistematicamente, senza andare al fondo delle cose, senza cogliere il
contenuto del movimento rivoluzionario, semplicemente perché tale
movimento non appariva chiaramente. È per questo che, nel mentre
affermavano posizioni giustissime su certi punti (critica dei sindacati
e dei partiti "operai" soprattutto), alle forme preconizzate
dal leninismo potevano opporre solo altre forme, senza mai enucleare il
contenuto del movimento rivoluzionario. Sostituirono così il feticismo
leninista del partito con quello dei Consigli operai. Si può dunque
dire che la corrente ultrasinistra non ha veramente superato il leninismo.
Le sue concezioni erano necessarie a quel tempo ed ebbero un ruolo estremamente
positivo: si trattava di una tappa necessaria, inevitabile. Ma oggi, allorché
il leninismo comincia ad aver fatto il suo tempo, perché la controrivoluzione
di cui era il prodotto sta per finire, le idee ultrasinistre, che sono
solo il pendant del leninismo, devono e possono essere superate. Questa
critica è possibile solo perché lo sviluppo del capitalismo
su scala planetaria permette d’intravvedere il contenuto reale del
movimento rivoluzionario ch’esso sviluppa. Arroccandoci, costi quel
che costi. sulle idee ultrasinistre qui esposte (timore del partito e
gestione operaia), le trasformeremmo in pura ideologia, nel senso in cui
Marx parla d’"ideologia tedesca". Viviamo di un’eredità
importante, prodotto di una fase della storia del movimento rivoluzionario
che è alle nostre spalle: se non riusciremo a superare il nostro
passato – il che non implica assolutamente un rigetto brutale ma,
al contrario, un’assimilazione profonda –, finiremo col recitare
Pannekoek come altri recitano I princìpi del leninismo, incapaci
di svolgere un ruolo quando il contenuto della rivoluzione sarà
portato avanti da quel "partito proletario" che non avremo saputo
riconoscere.
§ 58 – La Sinistra italiana (il "bordighismo") offre
un altro esempio di corrente interessante prodotta dallo stesso periodo
e che non è riuscita a comprendere e a superare le sue origini
[16]. Accetta le idee di Lenin fino al fronte unito: verità fino
al 1921, errore dopo. Si è poi sviluppata mantenendo l’idea
di un programma rivoluzionario che attacchi i fondamenti stessi del capitalismo.
Rifiutando la teoria della gestione operaia, la Sinistra italiana ha compiuto
una delle analisi più profonde dell’economia russa, mettendo
in primo piano non la burocrazia, come i trockisti e "Socialisme
ou Barbarie", ma i rapporti di produzione in quanto tali. La rivoluzione
non può essere altro che la distruzione dello scambio e della legge
del valore. In compenso, la Sinistra italiana, nonostante concepisca il
partito come prodotto della società, resta attaccata alle tesi
del Che fare?, donde una grande confusione teorica, benché i testi
bordighisti siano spesso interessanti. Anche la Sinistra italiana è
rimasta prigioniera dell’epoca che l’ha generata. Al riguardo,
si veda la rivista "Invariance", in particolare, i nn. 1 (sul
partito), 2 (sul valore), 3 (critica dell’autogestione), 4 (sul
Maggio ’68, p. 66), 5 (Perspectives), 7 (La révolution communiste.
Thèses de travail) della i serie, e il n. 1 (Le kapd et le mouvement
prolétarien) della ii serie [17].
§ 59 – Il nostro testo mira a un solo scopo: riconoscere la
nostra ideologia per superarla. Potremo così intraprendere il lavoro
teorico necessario: studio del programma rivoluzionario, della questione
del valore in Marx e in altri teorici, dell’analisi del capitalismo
(il problema dell’imperialismo, per esempio), così come lavori
storici per meglio assimilare il nostro passato (il leninismo, la Terza
Internazionale ecc.). Nello stesso tempo possiamo e dobbiamo far conoscere
i vecchi testi ultrasinistri per meglio evidenziare sia il loro ruolo
sia il loro limite [18].
§ 60 – Quando il proletariato si costituisce in classe, il
rivoluzionario lo raggiunge, senza che alcuna barriera teorica o sociologica
impedisca al movimento rivoluzionario di unificarsi. La coerenza teorica,
come dicono i situazionisti nell’estratto del n. 11 dell’"Internationale
Situationniste" sopraccitato, è un obiettivo permanente dei
rivoluzionari, nella misura in cui facilita sempre il coordinamento pratico
delle energie rivoluzionarie. I rivoluzionari non esitano mai a intervenire
in modo organizzato per far conoscere la loro critica della società.
§ 61 – Non si tratta per loro di dettare la "giusta linea"
agli operai rivoluzionari; ma non si tratta nemmeno di astenersi da ogni
intervento rivoluzionario coerente con il pretesto che "gli operai
devono decidere da soli"; poiché da una parte gli operai prendono
solo le decisioni imposte loro dalla situazione generale della società;
dall’altra il movimento rivoluzionario è una totalità
organica di cui la teoria è un elemento inseparabile. I comunisti
rappresentano e difendono sempre gli interessi generali del movimento.
In ogni situazione in cui si trovano, non rinunciano a esprimere tutto
il senso di quanto accade e a fare delle proposte di azione conseguenti;
se la situazione è rivoluzionaria, se l’espressione del movimento
e le proposte di azione sono giuste, s’integrano necessariamente
nella lotta del proletariato e contribuiscono alla formazione del partito
della rivoluzione comunista.
§ 62 – Questo testo non è da prendere o da lasciare.
Non è una piattaforma ma solo un contributo a un lavoro teorico.
Benché le sue ipotesi fondamentali siano il prodotto di una riflessione
abbastanza lunga, il testo nella sua esposizione può apparire rapido
e poco elaborato. Ciò significa che intendiamo proseguire il lavoro.
Luglio 1969 – rivisto nell’aprile 1970.
NOTE
1 Cfr. l’opera in via di pubblicazione di Denis Authier sul movimento
comunista in Germania dal 1914 al 1921.
2 Vedi Il movimento dei consigli in Germania pubblicato da ico e i documenti
contenuti nel n. 7 di "Invariance" [soprattutto il kapd al terzo
congresso mondiale (1921), pp. 81-94, e sul kai, pp. 94-102]. Il kapd
– Partito Comunista Operaio Tedesco – fu il risultato dell’esclusione
di 60.000 "sinistri" dal Partito Comunista Tedesco (kpd) (100.000
membri in tutto). Si opponeva risolutamente alla direzione leninista-luxemburghista
del kpd propugnando 1) il sistematico astensionismo elettorale nella nuova
fase del capitalismo in cui il parlamentarismo non ha più un ruolo
e deperisce più o meno velocemente; 2) la distruzione dei sindacati,
organi del "parlamentarismo economico". Tuttavia essi erano
favorevoli alla creazione della Terza Internazionale, mentre la destra
del kpd la giudicava prematura. L’evoluzione dell’urss li
condusse fin dal 1921 a fare la critica della società e dello Stato
russi (capitalismo gestito da una burocrazia) e dunque la critica della
Terza Internazionale divenuta uno degli strumenti della politica estera
della Russia. Insieme a gruppi di altri Paesi il kapd costituì
un’effimera Internazionale Comunista Operaia (kai). Cfr. al riguardo
la dichiarazione di Trockij contro questa Quarta Internazionale nel n.
11 dell’"Internationale Situationniste".
3 Rieditato in francese nel 1969, in vendita alla Librairie La Vieille
Taupe, 1, rue Fossés-Saint-Jacques, Paris 5e, pubblicato in italiano
da Samonà & Savelli, Roma, 1972.
4 L’aaud – Unione Generale Operaia di Germania – riuniva
gli operai rivoluzionari delle organizzazioni di fabbrica. L’aaud-e
– Unione Operaia Generale di Germania-Organizzazione Unitaria –
era frutto di una scissione dell’aaud. L’aggettivo Unitaria
esprimeva il rigetto della distinzione tra organizzazione politica (partito)
e organizzazione economica (sindacati, Consigli) del proletariato.
5 Compagno di Hermann Gorter, Anton Pannekoek ha scritto Worker’s
Councils che in qualche modo sintetizza le idee "consiliari";
importanti estratti ne sono stati pubblicati nei "Cahiers du socialisme
des conseils". Pannekoek ha anche scritto Lenin filosofo (in francese
nei "Cahiers de Spartacus") dove mostra che il materialismo
di Lenin si colloca sul terreno del materialismo borghese. Un’antologia
dei testi di Pannekoek, è in corso di pubblicazione presso le ed.
edi, Paris, a cura di Serge Bricianer (pubblicata poi in italiano da Musolini,
Torino, 1974).
6 Vedi la sua prefazione alla Guerra dei contadini in Germania, scritta
nel 1874. Lenin la cita lungamente nel Che fare?.
7 Vedi Karl Kautsky Les trois sources du Marxisme, Spartacus, Paris, 1974,
e i commentari di Pierre Guillaume e di Jean Barrot. Sulle origini del
movimento operaio russo e la nascita del leninismo, vedi la prefazione
di Denis Authier a Léon Trotsky, Rapport de la délégation
sibérienne, Spartacus, 1970 (trad. it. La Vecchia Talpa, Napoli,
1974).
8 Cfr. Karl Marx, Révélations sur le procès des communistes,
in Maximilien Rubel Pages choisies pour une éthique socialiste,
Rivière, Paris, p. 205.
8 bis Cfr. Fondements de l’économie communiste, in "Information
et Correspondance Ouvrière", n. 101; Paul Mattick, Marx e
Keynes, De Donato, Bari, 1975.
9 Marx distingue il capitale variabile, investito in salari, dal capitale
costante, investito in mezzi di produzione.
9 bis Lo sciopero generale di tre settimane nel Maggio ’68 è
un segno dell’enorme sviluppo delle forze produttive e delle riserve.
10 Marx fa qui allusione all’articolo di Engels, Abbozzo di una
critica dell’economia politica. Successivamente lo stesso Engels
commentò il proprio lavoro nel suo Antidühring (3a parte):
"Sin dal 1844 io dissi [...] che questa valutazione dell’effetto
utile e del consumo del lavoro è tutto ciò che in una società
comunista potrebbe rimanere del concetto di valore dell’economia
politica. Ma stabilire scientificamente questa tesi, come si vede, è
divenuto possibile solo grazie al Capitale di Marx".
11 Proprio con questo, il problema dei Paesi arretrati e del loro sviluppo
a tutti i livelli si pone sotto una nuova luce (cfr. l’India).
12 "Il busillis della società borghese è precisamente
di non permettere a priori un’organizzazione sociale della produzione
che sia cosciente: il razionale e il necessario non si affermano che in
quanto media e la loro azione è cieca." (Marx, Lettera a Kugelmann,
11 luglio 1868).
13 Maximilien Rubel, Pages choisies de Karl Marx, cit., p. 307.
14 Cfr. la nostra "Présentation" a "Notes pour une
analyse de la révolution russe": "[...] Senza trattare
qui l’insieme dell’evoluzione di questa rivista né
il suo posto nel movimento rivoluzionario, è necessario tornare
sull’articolo Les rapports de production en Russie, che servì
da riferimento a tutta una corrente di cui è importante fare il
bilancio.
Les rapports de production en Russie fu dapprima pubblicato sul n. 2 della
rivista (maggio-giugno 1949). La dimostrazione del carattere capitalista
della società russa, effettuata mediante una critica del trockijsmo
("Socialisme ou Barbarie" proveniva da una scissione della sezione
francese della Quarta Internazionale), fu allora un importante contributo
teorico, uno strumento di chiarificazione utilissimo. Ma non basta più
sapere che l’urss è capitalista, bisogna sapere perché.
La questione si è dislocata: non è più tanto la natura
sociale della Russia che importa, ma quella del capitale.
L’autore dell’articolo, Pierre Chaulieu, si basa dapprima
sull’analisi di Marx: "se la produzione, nel senso stretto
della parola, è il centro del processo economico, non bisogna dimenticare
che, nella produzione capitalista, la scambio è parte integrante
del processo produttivo, da una parte perché tale rapporto è
innanzitutto acquisto e vendita della forza-lavoro, e implica l’acquisto
da parte del capitalista dei mezzi di produzione necessari, dall’altra
perché le leggi della produzione capitalista si affermano come
leggi coercitive attraverso il mercato, la concorrenza, la circolazione,
in una parola lo scambio" (p. 4).
Sostenuto da numerosi rimandi a Marx, il testo mostra che "la forma
empirica immediata" del "rapporto tra padrone e operaio [...]
è lo scambio della forza-lavoro dell’operaio contro il salario"
(p. 11). Nel corso dell’analisi, questa definizione lascia il posto
a un’altra, del tutto differente. Il capitale come modo di produzione
è ora presentato come un modo di gestione. La questione dei rapporti
di produzione, considerata all’inizio come il problema della dinamica
attraverso la quale i mezzi di produzione e la forza-lavoro entrano in
contatto nel processo lavorativo (cioè, nel capitalismo, mediante
lo scambio della forza-lavoro contro il salario, scambio tra il lavoro
vivo e il lavoro morto che gli fornisce i mezzi di sussistenza), diventa
in seguito la questione del semplice controllo dei mezzi di produzione
(detenuti dagli operai – ed è il socialismo – o dai
padroni, borghesia classica o burocrazia). Il capitalismo è l’accaparramento
delle ricchezze da parte di una minoranza che le gestisce a suo profitto.
Lo scivolamento è qui: si passa dalla concezione della struttura
oggettiva della società, alla concezione di due gruppi umani (minoranza/maggioranza,
dirigenti/esecutori), senza vedere che tali gruppi non fanno altro che
personificare determinati rapporti sociali. P. Chaulieu scrive:
"Ciò che fa dei capitalisti la classe dominante della società
moderna, è il fatto che, disponendo delle condizioni della produzione,
essi organizzano e gestiscono la produzione e appaiono come gli agenti
personali e coscienti della ripartizione del prodotto sociale.
[...] I rapporti di produzione, in generale, sono definiti:
a) dal modo di gestione della produzione;
b) dal modo di ripartizione del prodotto sociale (intimamente legato alla
gestione sotto molteplici aspetti)" (p. 26).
Chaulieu menziona ancora la questione della vendita della forza-lavoro
(pp. 29 e 31), ma senza darle un’importanza decisiva nell’analisi
del meccanismo capitalista. Vi vede solo la separazione dei lavoratori
dai mezzi di produzione a disposizione di una minoranza. Ma ciò
non basta a caratterizzare il capitalismo. Lo scambio e il valore sono
infatti completamente tralasciati. Il capitalismo (e innanzitutto il capitalismo
russo) è definito da Chaulieu come l’opposizione tra gli
esecutori e coloro "che prendono le decisioni fondamentali"
(p. 30). Decidere, gestire, organizzare: non si tratta più di economia
politica, ancor meno della sua critica, ma di politica economica. La questione
del valore è così poco compresa da Chaulieu, che egli ne
concepisce il funzionamento anche nel socialismo, seppure in una forma
modificata: lo scambio non si applicherebbe più alla forza-lavoro
ma al valore "aggiunto al prodotto" dal lavoro. È ciò
che chiama "la negazione assoluta della legge del valore-lavoro"
(pp. 36-7). Di fatto l’origine dell’errore è semplice:
Chaulieu riprende la critica marxiana al programma di Gotha, laddove Marx
ipotizza il mantenimento dello scambio, in una forma modificata, ma solo
transitoriamente e certo non nel comunismo sviluppato. Chaulieu ignora
questa distinzione; per lui lo scambio sussiste dunque in una società
socialista.
Al termine dell’analisi, non si sa per quale ragione l’urss
sia davvero capitalista. Chaulieu ha visto nell’economia sovietica
un sistema di sfruttamento, nel quale la giornata lavorativa è
divisa in lavoro necessario (alla riproduzione della forza-lavoro) e in
pluslavoro (che fornisce il plusprodotto accaparrato dalla classe dominante,
in questo caso la burocrazia). Ma giacché ignora la natura profonda
del capitale, al contempo estrazione di pluslavoro e processo di valorizzazione,
e senza dubbio perché nel 1949 la legge del valore non si manifestava
in Russia così nettamente come ora, non ha compreso cosa sono i
rapporti di produzione in Russia. Quel che dimostra, demolendo su questo
punto le stupidaggini trockijste, è l’esistenza di una struttura
di sfruttamento. Ma non coglie la specificità dello sfruttamento
capitalista. È per questa stessa ragione che non può analizzare
le contraddizioni sociali oggettive intrinseche a questi rapporti di produzione.
Non si affrontano mai le contraddizioni economiche fondamentali. Si sa
solo che gli sfruttati si scontrano con gli sfruttatori, gli esecutori
con i dirigenti. Non si vedono le contraddizioni del capitale –
e dunque del capitale in Russia – che lo conducono alla rovina obbligando
gli sfruttati a diventare i suoi becchini. Perché non vi sono solo
dei gruppi di uomini in lotta contro degli altri, in ogni sistema sociale
esistono contraddizioni che costringono i gruppi e le classi a scontrarsi.
La storia di "Socialisme ou Barbarie" è stata un lungo
sforzo, attraverso varie scissioni, per enucleare delle prospettive rivoluzionarie
senza avere compreso la dinamica del capitalismo, attraverso quale meccanismo
sociale il capitalismo crea le condizioni di un altro mondo e obbliga
una parte della società a metterle in pratica.
La conseguenza logica del modo di procedere di Chaulieu consiste nel ricercare
i rapporti di produzione dentro l’impresa, e nel volerli cambiare
grazie all’attività interna degli operai.
"Solo se la rivoluzione conduce a una trasformazione radicale dei
rapporti di produzione nella fabbrica (cioè se può realizzare
la gestione operaia), può conferire un contenuto socialista alla
proprietà e al contempo creare una base economica oggettiva e soggettiva
per un potere proletario." (p. 17)
"Socialisme ou Barbarie", di per sé e attraverso i suoi
effetti indiretti (di cui "Notes pour une analyse de la révolution
russe" è un esempio), ha svolto un ruolo utile. Ma oggi la
sua ideologia è superata dal movimento rivoluzionario che pone
la questione del comunismo, cioè del rovesciamento del modo di
produzione e non semplicemente del modo di gestione. È al contrario
il capitalismo che tenta di riformarsi facendo partecipare i lavoratori
alla propria gestione: democrazia, partecipazione, governo dei lavoratori,
governo operaio, autogestione, democrazia sindacale, controllo operaio
ecc., tali sono attualmente le parole d’ordine del capitale"
("Notes pour une analyse de la révolution russe", in
Jean Barrot, Communisme et question russe, Société encyclopédique
française et Éditions de la Tête de Feuilles, Paris,
1972, pp. 15-20).
15 Vedi il lavoro assai interessante e documentato di Kommunistik Program,
Postbox 61, 2880 Bagsvært, Danimarca. Testi disponibili in francese:
La question syndicale et la gauche allemande dans la IIIe Internationale,
e La perspective communiste.
16 Vedi le riviste "Bilan" (pubblicata tra le due guerre mondiali),
"Programme Communiste" (che appare da una decina di anni) e
"Fil du temps", così come l’opuscolo La question
parlementaire dans l’Internationale Communiste. Un’importantissima
documentazione esiste in italiano.
17 Per una bibliografia dettagliata delle pubblicazioni della Sinistra
italiana, vedi "Invariance", n. 8.
18 Un bilancio del lavoro del partito si trova in "Le mouvement communiste",
n. 3.
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